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lunedì 22 ottobre 2007

MISURA PER MISURA, SHAKESPEARE ALLE MUSE DI ANCONA


MISURA PER MISURA
Di William Shakespeare
Con e regia di Gabriele Lavia

Teatro Delle Muse
Ancona 20.X.2007



Si è aperta la stagione di prosa 2007/2008 al Teatro delle Muse di Ancona con la messinscena della dark commedy Misura per Misura di W. SHakespeare nell’allestimento del Teatro di Roma e della Compagnia Lavia.

Ambientato negli antri suburbani di una Vienna truce e corrusca, popolata da una variegata moltitudine di personaggi ambigui in cui regnanti ed impostori, vergini e prostitute, bargelli e carcerati, frati e ruffiani risultano tutti accomunati e coinvolti nella decadenza dei costumi morali, il dramma si avvale della struttura scenografica imponente ed efficace di Carmelo Giammello e della regia innovativa di Gabriele Lavia che conferiscono allo spettacolo un ritmo impressionante e coinvolgente.

Il testo, messo in scena prima di Lavia solo da Cecchi, Squarzina e Ronconi, è basato sulla traduzione di Serpieri che realizza un buon adattamento pur senza privarlo dei necessari effetti dell’immaginifico barocco.

Benché l’opera si presti alla tentazione di mettere molta carne sul fuoco offrendo numerosi spunti di riflessione, il regista privilegia in questo allestimento il tema della rilassatezza dei costumi morali di una società che, sotto la coltre ipocrita del perbenismo, cela un trepidante bisogno di liberare i propri freni inibitori. Pur consapevole di aver a lungo vestito i panni di un padre troppo permissivo, lasciando crescere a dismisura l’erba infestante della licenziosità, Lavia incarna un Duca che è apparentemente un leone ormai troppo vecchio per poter ripristinare l’autorità e predare ogni rea manifestazione.

Ma in verità il suo provvisorio ritiro in convento sotto le mentite spoglie di un frate minore obbedisce ad un desiderio di comprendere da un osservatorio neutrale se la rigida applicazione della legge risulti un antidoto efficace o un meschino tentativo in cui il potere reprime negli altri i propri istinti. Nel temporaneo passaggio di consegne con cui il Duca cede il centro della scena al proprio vicario non è azzardato leggere anche un altrettanto simbolico scambio delle parti che consente a Lavia di offrire al figlio Lorenzo la parte con cui egli debuttò da giovane. E questi lo ripaga con moneta sonante offrendoci un’interpretazione austera e di assoluto rigore formale di quel saggio Angelo apparentemente integerrimo, di costume rigoroso, che sta in guardia contro la malvagità e che ottunde la punta dell’istinto con i godimenti dello spirito incarnando l’ipocrisia delle convenzioni sociali.

Ma il padre, forte della sua maturità artistica si muove sul palco con un’ impareggiabile capacità comunicativa che ha il suo momento culminante nel corso della prima parte del terzo atto nell’esortazione rivolta a Claudio ad accettare la morte contro l’ignobile compromesso morale di cui dovrebbe essere vittima la sorella Isabella.

Claudio e Giulietta legati da un vincolo sposalia per verba de presenti ritenuto legale dalla società del tempo divengono oggetto di un’ingiusta persecuzione a causa dello stato di gravidanza in cui si trova la ragazza, incorrendo nei nuovi rigori della legge che spalancano a Claudio la dolorosa via del patibolo. Da qui prende le mosse tutta una sequenza di accadimenti caratterizzati da una marcata conflittualità, ma anche da generosi slanci altruistici che consentiranno di fare piena luce sull’estrema complessità dell’animo umano a cui non risulterà estraneo nemmeno il Duca, il quale entrerà nel finale in quello stesso cono di luce ambigua sottraendo a sorpresa Isabella dalla sua vocazione religiosa pretendendone la mano.

Le nostre nature perseguono, come ratti che divorano il proprio veleno, una sete maligna e moriamo. Il finale apparentemente a lieto fine, avvolge pertanto il pubblico in un clima di angosciante sconcertazione, che non gli impedisce tuttavia di omaggiare il cast con una serie infinita di ovazioni.

Gian Paolo Grattarola

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